L’alluvione di Firenze e gli angeli del fango

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In una catastrofe, secondo le scienze sociali, compaiono due fenomeni spesso confusi: da una parte l’incidente, dall’altra la vulnerabilità propria dell’ambiente sociale che lo subisce. Secondo la sociologa Gaëlle Clavandier, l’indagine va perciò portata dall’esterno all’interno. La catastrofe è il fattore scatenante la crisi, ma la crisi è poi tutta nell’ambiente sociale, nel suo funzionamento, nella sua fragilità, nella sua vulnerabilità. Anche la percezione dell’evento, per esempio l’idea che le autorità non siano all’altezza della situazione, diventa un’autoproduzione della società2. Il senso della vulnerabilità, a sua volta, suscita sentimenti di paura di fronte alla possibile rottura o indebolimento del legame sociale, uno dei meccanismi che sta al cuore delle conseguenze supposte o reali degli incidenti. E questo è uno dei meccanismi moderni che suscita paura e che trasforma poi la paura in angoscia, come ha chiarito Joanna Bourke.


Con l’approssimarsi del cinquantesimo anniversario dell’alluvione di Firenze del 1966, ecco il link per leggere alcune pagine tratte dal contributo di Dino Mengozzi “‘Angeli del fango’ e putredine. Vulnerabilità e socialità nelle catastrofi (1951-1966)”, tratto dal volume Tutela, sicurezza e governo del territorio in Italia negli del centro-sinistra, a cura di Gianni Silei, edito da FrancoAngeli.

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Il volume è stato presentato il 25 ottobre 2016, presso la Biblioteca delle Oblate.

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