Ritratto_generazione_w10_r200RITRATTO DI UNA GENERAZIONE
IL COLLEGIO MUSSOLINI COME “UNIVERSITAS PERSONARUM”
Lettere a Giovanni Pieraccini (1937-1943)

a cura di Ginevra Avalle
Prefazione di Mauro Moretti
Piero Lacaita Editore

 

 

 

Nel volume è pubblicata per la prima volta la corrispondenza diretta a Giovanni Pieraccini durante gli anni in cui egli studiò al Collegio Mussolini (lontano precedente della Scuola Superiore Sant’Anna) e negli anni immediatamente successivi. La pubblicazione intende fornire uno squarcio della vita dei giovani studenti, durante gli anni 1937-1943, divenuti in seguito personaggi illustri della cultura e della politica italiana: l’economista Giorgio Fuà, il magistrato Gian Paolo Meucci, il giurista e politico Emilio Rosini, l’avvocato e parlamentare Raimondo Ricci, il giornalista Massimo Monicelli e l’amico Brindo Fiorentini.

I documenti presentati, arricchiti dai profili biografici dei singoli corrispondenti, permettono di delineare il maturarsi di una coscienza antifascista e di illustrare un ritratto particolareggiato di una generazione di cui Pieraccini è l’ultimo testimone.

 

INDICE DEL VOLUME
Prefazione di Mauro Moretti
Introduzione di Ginevra Avalle
Corrispondenti di Giovanni Pieraccini (1937 – 1943)
Bindo Fiorentini
Giorgio Fuà
Gian Paolo Meucci
Massimo Monicelli
Raimondo Ricci
Emilio Rosini
La testimonianza di Giovanni Pieraccini
Galleria fotografica
Indice dei nomi

 

 ALCUNE LETTERE DI GIORGIO FUA’ A GIOVANNI PIERACCINI
pubblicate nel volume

da Ancona, il 9/9/38

Rientrando in villa dopo una settimana di caccia trovo, carissimo Giovanni, la lettera tua assieme ad altre numerose di amici e conoscenti. Alcuni si sono sentiti in dovere di scrivermi in tono di condoglianza per manifestarmi la loro solidarietà. Ma tutto ciò e tutto il resto mi interessa molto meno di quello che scrivi tu: e per questo a te rispondo prima che a qualunque altro. Assieme a te comprendo nella risposta il caro Ranieri: ti prego quindi di passare anche a lui la mia lettera.
Nel villaggio appenninico dove ho passato questi giorni non ho sentito parlare altro che di selvaggina, di cani, di polveri (ma solo per uso caccia) e di vini: ed anch’io non ho parlato altro che di caccia e di vini, ed ho finito per non pensare d’altro che di caccia e di vini. Occorre un certo sforzo per tornare così d’un tratto ad argomenti tanto diversi.
Lo studio da me svolto di cui scrivevo a Ranieri concerneva una posizione politica presto superata con gli ultimi decreti: tuttavia esso mi offre ancòra gli elementi per rispondere alle questioni generalissime che trovo nella tua lettera.
Inutile ripetere quale sia la mia concezione del F. Coincide con la tua, senonché io rinunzio a porre l’idea Stato come principio universale eterno, assumendola soltanto fra gli altri principii propriamente “storici”. Del F. rimane quindi la coscienza della storia (universale principio della contingenza, io dissi compiacendomi dell’equivoco), ossia la coscienza dell’opportunità storica. Non è superfluo richiamarsi a Vico ed a Machiavelli, quale io lo vedo.
Se ci troviamo d’accordo su questo modo di vedere la realtà Fascista, dovremmo accordarci anche sulla importanza fondamentale che qualsiasi concezione storicistica deve attribuire alle contingenze di luogo e di tempo. Fu merito del F. uniformarsi all’ambiente cattolico in cui doveva affermarsi, allo stesso modo con cui si uniformò all’ambiente monarchico: con la sola differenza che la monarchia si trovava imposta dalla tradizione politica della Nazione, mentre il Cattolicesimo si trovava imposto dalla tradizione religiosa, la quale costituisce uno strato incomparabilmente più profondo e quindi incomparabilmente meno attaccabile del patrimonio morale di una gente. L’Italia è totalmente ed intimamente cattolica. Non va dato peso alle ingenue considerazioni di chi crede di constatare che l’influenza della Chiesa sulle genti sia in declino: non conta l’atteggiamento a volte più, a volte meno riverente dei varii governi: quello che conta è il sentimento immutato dei popoli, poiché sono i popoli a scrivere la storia sulla quale i governi stampano i loro titoli. Quel movimento che voglia essere assolutamente italiano deve dunque rendersi assolutamente cattolico. E non si può essere cattolico se non in modo assoluto: poiché toccare la dottrina religiosa in un solo punto vuol dire aggredirla nella sua integrale totalità.
Ecco spiegato a quale titolo io mi richiamavo alla tradizione: alla tradizione come una di quelle forme di quell’ammbiente [sic] al quale deve adattarsi l’azione delle forze operanti della storia.
Un altro colpo d’occhio sulla questione politica che ci interessa potrebbe lanciarsi prendendo lo spunto dall’avvertimento del Duce: “signori, o voi immettete il popolo nella cittadella dello Stato, ed egli la difenderà, o sarà al di fuori, ed egli l’assalterà”. Non possono sfuggire le conseguenze inevitabili di qualsiasi provvedimento che renda meno libera la partecipazione di un gruppo comunque individuato alla vita della comunità politica. Questo gruppo confinato al margine dello Stato non vedrebbe più nello Stato una sublimazione del proprio io, ma piuttosto una contrapposizione. E nel caso specifico il gruppo costituisce una potenza non tanto materiale quanto piuttosto intellettuale e morale: potenza che è stata sino ad oggi elemento della potenza fascista, e che forze ancora più generose avrebbe immesso in essa con l’attenuarsi di un certo atteggiamento antisemita soffuso in pochi campi del regime. Non capisco l’opportunità di alienarsi un elemento di potenza, specialmente quando si consideri la criticità del momento che la storia d’Europa attraversa.
Tutto questo io dico perché non credo – ed a me non manca esperienza in proposito- alle pretese tendenze antifasciste naturalmente insite nella psicologia d’Israele. Potrei documentare la mia convinzione. Ma la cosa riuscirebbe tanto meschina come altre documentazioni in senso contrario che capita di trovare nella stampa.
Riconosciuta l’incompatibilità del razzismo con la coscienza cattolica, prima di arrischiare un’azione contraria ad essa sarebbe il caso di appurare la consistenza delle esigenze razzistiche della nostra nuova situazione imperiale. Nel campo scientifico non ho trovato nessun fondamento positivo. Mi chiedo se tu saresti in grado di fornirmi qualche prova biologica in favore del razzismo. Nel campo puramente politico, prima di assumere un atteggiamento intransigente sarebbe opportuno studiare con cura la storia dell’impero romano, del quale rivendichiamo l’eredità. Certo esso non conobbe razzismi. Voglio trovare il tempo per approfondire questo studio quanto merita: al momento le mie idee non poggiano su una cognizione sufficientemente solida.
Da queste poche e da altre considerazioni mi sono convinto che la politica razzista si presenta storicamente inopportuna e quindi contraria ai più sani principii della azione fascista. L’inconsistenza del problema razzista non implicherebbe però l’inconsistenza del problema ebraico, il quale esiste ma come problema religioso e proprio in termini opposti a quelli attualmente presentati dalla polemica ufficiale. Esiste in quanto comprensibili ragioni di fede (più che di coscienza razziale) tengono il nucleo religioso ebraico, come d’altronde quello meno rilevante dei Valdesi, chiuso in se stesso e restio ad ogni fusione con genti di religione diversa, producendo conseguentemente, di riflesso, un fenomeno di razzismo semitico che viene a coincidere con quella posizione cui mirerebbero le direttive della politica razzista fascista. L’inconcepibilità di una separazione razzista all’interno di uno stato unitario e totalitario non ha bisogno di nuove dimostrazioni.
Il problema esistente è dunque religioso e potrà e dovrà presentarsi in termini cattolici e antirazzisti.

La mia risposta alle vostre dissertazioni finisce qui. Mi auguro di leggervi presto, in attesa di riprendere diretto contatto verbale a Pisa. Certo tornerò, anche se non fosse per continuare i miei studii al Mussolini: in ogni modo mi auguro di non dovere rinunziare al posto tanto caro.
Mi spiace che la lettera debba presentarsi a voi aridamente polemica piuttosto che affettuosa al modo che mi sarebbe piaciuto, visto che la simpatia nella nostra amicizia è così cordialmente reciproca.

Giorgio Fuà
[Lettera ds. con correzioni mss.; su carta intestata: GIORGIO FUÀ / DEL COLLEGIO MUSSOLINI DI SCIENZE CORPORATIVE (PISA)]


ancóra da Monte d’Ago
il 27. 9. 38 XVI

La tua lettera si chiude con un sorridente accenno ad una giornata di caccia e ad un pranzo di caccia: io voglio riprendere lo stesso tema per aprire la mia risposta. La prospettiva che tu mi presenti mi seduce con irresistibile fascino sportivo e gastronomico, e sin d’ora godo nel vagheggiarla. Ti racconterò che mi avvenne poco fa di essere invitato da un amico cui avevo regalato una lepre da me uccisa in montagna: l’aveva cucinata lui stesso – è un solenne colonnello degli alpini – ed in modo veramente delizioso. Tengo a disposizione la ricetta per il caso fortunato che cápiti di applicarla. Un pranzo ben fatto, una tavola sorridente di volti amici, una conversazione tranquilla che tratti di vino, di politica e di cacciagione sono cose che fanno bene al corpo ed allo spirito. Il godimento di un civet di lepre anaffiato [sic] di ottimo Barolo è soprattutto spirituale. Su un piano differente, ma non a un grado differente, che l’ouverture del Guglielmo Tell. Almeno per me.
Da un punto di vista ugualmente spiritualistico (quanto il tuo è materialistico) io vedo anche la questione politico-filosofica di cui trattiamo. Purtroppo, o piuttosto per fortuna, dobbiamo riconoscere che l’obiettività che tu invochi non è conseguibile in nessuna discussione. Ognuno di noi porta in essa la sua personalità, tanto più prepotentemente quanto questa è più forte.
Se non fosse così, non saremmo individui. Ed io sono un individuo che va dando alle sue convinzioni forma sempre più spirituale. Che si rifiuta di credere – almeno al punto in cui si trova oggi – che il fatto spirituale della religione (e così di un dato mondo culturale o artistico) sia il portato di fatti zoologici (la razza) allo stesso modo come si rifiuta di credere che la superiore realtà del pensiero sia prodotta da un materialissimo meccanismo della sostanza cerebrale. Io sento lo spirito come potenza creativa e non come prodotto. Dal mio modo ideale – intelligenza e volontà, dato che si usa distinguere queste facoltà – dipende da quello che io sarò nella vita: non le condizioni della vita determineranno il mio mondo ideale. Esse influiranno in quanto determineranno in esso certe reazioni, che però saranno sempre reazioni mie, personalissime. L’idea di Israele ha formato il popolo di cui tu parli: non è il popolo zoologicamente (mi piace usare questa parola dura) preesistente che ha fabbricato un’idea confacente ai suoi bisogni. Sin qui non ho fatto altro che chiarire quella parte di soggettivismo che io porto nella discussione. Ma posso tentare una dimostrazione con elementi di comune esperienza.
In una famiglia ebraica un giovane abbandona la religione dei padri per farsi cattolico: spesso lo vedrai messo al bando. La fanciulla ebrea eviterà probabilmente di sposarlo. Eppure egli è sempre semita: ma non è più ebreo. Ha sempre il naso grosso ed aquilino, gli zigomi pronunciati, gli occhi obliqui, i capelli crespi: ma non crede più alla missione d’Israele (idea, non razza) nel mondo. I suoi figli, ebrei di razza ma non di fede, verranno considerati alla stregua di ogni altro profano, né si distingueranno dagli ariani o dai mongoli. Se una distinzione si farà, non dipenderà dalla forma audace del naso, ma dalla particolare formazione morale e intellettuale che persiste ancòra nell’apostata come conseguenza della educazione ricevuta e come impronta dell’ambiente. Che c’entrino in un certo senso i cromosomi, lo ammetto: ma che ad essi si debba attribuire importanza decisiva, lo nego.

Giorgio

[sul margine superiore della prima pagina]: Potrai mostrare ciò che scrivo a Pieraccini se pensi che gli interessi. Salutami Berti Mantellassi e Ruschi. Indirizza la prossima volta in città. G.
[Lettera ds. con correzioni mss non diretta a Pieraccini; su carta intestata: GIORGIO FUÀ / DEL COLLEGIO MUSSOLINI DI SCIENZE CORPORATIVE (PISA)]


Lausanne, il 15. 1. 39

Mantengo la promessa – che a te ho fatto con particolare serietà – di tenerti al corrente delle mie impressioni su Lausanne. Sono certo che i tuoi dubbii sulla convenienza del Collegio siano scomparsi: avrai provato quel simpatico affiatamento con i compagni di segregazione, il cui ricordo tiene viva in me la nostalgia di Pisa. Ma se invece una qualsiasi ragione ti fa propendere ancòra al cambiamento, allora lascia Pisa per Lausanne. Io sono assolutamente soddisfatto di questa scuola, che non avrei potuto immaginare così pienamente rispondente a tutti i miei desiderii. Si richiede una certa assiduità di frequenza, ma le lezioni sono in genere così brillanti che seguirle diviene un divertimento. I professori offrono larga assistenza: le biblioteche di cui disponiamo sono complete sotto tutti i riguardi. Un centro di studi serio ed animato, nel complesso. L’insegnamento dell’economia si trova in un’ora di disorientamento. Nell’ottobre prossimo entrerà un nuovo professore per sostituire il vecchio Boninsegni: e spezzerà la tradizione lausannese, non appartenendo alla scuola di Walras e Pareto. Ma non è detto che questo sia un male.
Boninsegni fa delle belle lezioni, eleganti e non certo astruse per ora: ma si da [sic] forse più importanza di quello che sarebbe desiderabile. Un giovane potrà ispirare ai suoi discepoli maggiore confidenza. E portare delle idee nuove nella scuola un po’ tradizionale di Lausanne.
La ragione per cui soprattutto mi piacerebbe vederti qui è il campo vastissimo ed insospettato, che ci si apre in questo paese, di studi sociali.
Una mentalità un po’ diversa da quella cui ero abituato; una cultura molto più estesa (nella mia pensione un operaio elettricista discute con un commesso di negozio sulla rappresentanza di volontà e sulla rappresentanza di interessi), un fermento di vita molto più attivo. Sono certo che qualche tempo di studio in questo ambiente diverso debba portare un buon completamento alla nostra formazione.
Dal punto di vista finanziario, facendo un’economia abbastanza attenta si può vivere.
Voglio vedere se le mie impressioni ti interesseranno solo come riguardanti la riuscita sistemazione di un amico, o se ti faranno germogliare in capo progetti e piani. Mi piacerà leggere notizie vostre.
Con affetto

Giorgio Fuà
2, Rue St. Pierre (Pension Mimosa)
[Lettera ms.]


Lausanne, 29 aprile [1939]
Caro Giovanni,
mi sono interessato di quel movimento letterario di cui ci è avvenuto di parlare assieme. Ma non ho potuto avere nessun dato preciso. La rivista mensile che usciva a Vienna non è più apparsa dopo l’anno scorso: il redattore pare si trovi attualmente in villeggiatura proprio presso Lausanne, ma ancòra ne ignoro l’indirizzo. A quanto mi è sembrato di capire dalla risposta che mi ha dato proprio oggi un Professore dell’Università cui mi ero rivolto in proposito, non sarebbe l’ex redattore di quella rivista ad esplicare in questo momento la più rimarchevole attività, ma piuttosto qualche nucleo che si è formato in diversi paesi d’Europa. In ogni modo il Professore non prende in seria considerazione il movimento, ed ha tenuto molto a ripetermi che è “terribilmente confuso”. Se io riuscirò ad erudirmi di più in proposito ti terrò scrupolosamente informato.
Ma i miei studii mi tirano da un’altra parte. Ho cominciato a lavorare solidamente. Accorgendomi che l’Università di Lausanne mi offriva al momento troppo scarse risorse specialmente in materia di Economia, ho cominciato a frequentare regolarmente anche i centri di studio che avevo a portata di mano a Ginevra. Passo lì due o tre giorni della settimana (quando verrà il periodo degli esami diraderò o sopprimerò queste gite), assistendo come auditore ai corsi appassionanti dell’Insitut des Hautes Etudes Internationales, e sfruttando il materiale abbondantissimo offerto dalla comoda biblioteca della Società delle Nazioni. Sono veramente soddisfatto, non tanto di quello che faccio per ora, quanto di quello che immagino di poter fare in seguito in un ambiente tanto propizio al lavoro. Rimpiango che a te sia impossibile, almeno al momento, venire a completare i tuoi studii qui: pensa che persino a me, che per quanto si sa non ho ancòra obblighi di leva, sono state fatte grandi difficoltà all’espatrio per motivi militari.
Salutami molto cordialmente Monicelli, ed anche gli altri amici del Collegio. Con affetto.

Giorgio Fuà
[Lettera ds.; su carta intestata: GIORGIO FUÀ / DEL COLLEGIO MUSSOLINI DI SCIENZE CORPORATIVE (PISA)]


Ginevra, 9.11.39
Profitto di un momento di sosta in biblioteca per mandarti un saluto. Ascoltando poco fa, in materia di Diritto Costituzionale, la storia della progressiva formazione della Confederazione Elvetica, mi chiedevo se tu non ti sei mai interessato a questo capitolo certo interessante. Ho pensato a te anche quando ho sentito raccontare, appena arrivato qui, che quello scrittore di cui si parlò l’altro anno è sempre in Svizzera ed ha l’intenzione di fondare una specie di cenacolo proprio a Ginevra per tener desta la sua idea. Io gli ho scritto, perché ero curioso di conoscerlo, ma sino ad oggi non mi è giunta risposta. Se avrò occasione di vederlo te lo racconterò, sicuro di divertirti.
Sono ora stabilito a Ginevra, Pens. ne “Villa Mon Plaisir”, 14, R. des Buis. Ma prevedo che dovrò trasferirmi presto a Lausanne per preparare l’ultima pesantissima serie di esami. Qui faccio ricerche per orientarmi nel lavoro di Tesi: e le ricerche sono molto interessanti, ma sino ad oggi non conclusive. Saluto molto cordialmente anche gli altri amici.

Giorgio Fuà

[Cartolina postale ms.; indirizzata a: Giovanni Pieraccini / via Regia 44 / Viareggio / Lucca (Italie) – T.P.: Genève 9.XI.39 21]


Lausanne, 7 Genn. 40

Avrai certo compreso che il fatto di non ricever nulla da voi mi metteva in pensiero. Ho avuto le vostre notizie da Rugg, poi ho letto il biglietto di Ran, e vi ringrazio dei saluti e degli augurii. Mi dispiace di dover aggiungere a questi convenevoli la richiesta di un piacere. Il mio esaminatore mi consiglia di preparare il Dir. Amministr.[ativo] sullo Zanobini.
Non ho trovato il testo né a Laus[anne] né a Gin[evra]. Vorrei sapere che non sia troppo lungo né troppo pesante. Nel caso che tu l’abbia letto o veduto, come suppongo, scrivemi [sic] se si mantiene nei limiti del Perassi, p.[er] es.[empio], o del Santi Romano. Se li superasse di molto non avrei il tempo, affannato come sono, di prepararlo. E scrivimi anche se credi che potresti farmene spedire un esemplare d’occasione da Pisa. Sono certo di riuscire noioso: spero che saprai scusarmi. (Mi hanno fatto vedere un libro pubblicato in U.S.A. l’anno scorso da un giornalista, “Union Now”. Dei compagni mi raccontano che ha riscosso un’incredibile adesione fra gli economisti della London School. L’ho trovato divertente, ma denso di infantilismo americano. Preferisco leggere i discorsi di Pio XII. Mi chiedo se destano tutta la eco che meritano.) Spero di leggerti presto. A te ed agli altri amici il più affettuoso saluto.

Giorgio F.

Av. De l’Avant-Poste, 7, r.d.ch.,
Lausanne.
[Cartolina postale ds.; indirizzata a: Mr. Giovanni Pieraccini, / via Regia (già Ferdinandea) / N.° 44, / VIAREGGIO / Lucca (Italie) – T.P.: Genève /7.I.40 22 ]


Ancona, 22 settembre 1940.

Sono felice di sapere che Giovanni Pieraccini è sempre vivo… Tanto felice che non attendo neppure un’ora prima di rispondere alla tua lettera.
Se è vero che la tua attività è stata incredibilmente rallentata in quest’ultimo anno, ti è stato facile darmi in una ventina di righe il quadro completo della tua vita. Io non potrei fare la stessa cosa perché dal novembre scorso a questo agosto ho vissuto ad un ritmo accellerato.
Ho lavorato un poco come candidato al Doctorat di Lausanne, un poco come studente del Graduated Institute of International Studies di Ginevra, un poco come “studioso” (non voglio il termine paia troppo importante) autonomo, infine anche come collaboratore privato di un esperto di politica demografica.
Ho avuto contatti incredibilmente variati nel campo scientifico ed anche in quello sociale. Pensa soltanto che a Lausanne avevo vissuto qualche mese in un ambiente simpaticissimo di estrema destra: interessi di banca, pregiudizii aristocratici, intransigenza gesuitica… Da questo son passato direttamente, nel mio secondo soggiorno a Ginevra, in ambiente quacchero. I Quaccheri si definiscono “l’ala sinistra del puritanesimo” e mi hanno fatto godere un’atmosfera di fratellanza umana, di liberalità, di semplicità veramente cristiana. Ti potrei raccontare che ho cercato, per quanto stava in me, di mettere in contatto di mettere in contatto questi due ambiente opposti; e che ho ottenuto di affiatare la figlia del banchiere Levi con un cinese di tendenze comuniste.
Ma preferisco rimandare i racconti alle conversazioni che cominceremo presto a Pisa.
Sono sempre iscritto all’Università. Darò alla prossima sessione qualche esame, coll’intenzione di laurearmi a Luglio 1941 – forse in Scienze Politiche invece che in Legge.
Ci incontreremo dunque in occasione dei prossimi esami. A questo proposito mi permetto chiederti se potresti procurarmi per una giornata lo Zanobini. Ho già dato un esame di Amministrativo a Lausanne; e per prepararlo avevo anche acquistato questo testo; purtroppo l’ho prestato ad un professore di lì e comincio a temere che non potrò riavere i volumi in tempo utile per rileggerli prima di affrontare lo steso esame a Pisa. Se tu li avessi a disposizione ti pregherei di spedirmeli; nel caso poi che ti servissero in questi giorni, mi basterebbe sapere di poterli rivedere per qualche ora quando verrò a Pisa, alla vigilia dell’esame.
Capisci che non ho l’intenzione di accordare agli esami un’importanza eccessiva. Sarei già contento di liquidarli, senza nessuna ambizione di ottenere un successo brillante. Mi riprometto invece per quest’anno, che passerò quasi tutto in Italia, la soddisfazione di preparare un serio lavoro personale in materia economica. Potrebbe servirmi intanto come tesi di laurea; ed essere poi pubblicato negli U.S.A. – poiché vorrei fare lì un soggiorno di studio, appena terminati gli studii di Pisa.
Per questa ricerca (il cui piano non è ancora precisato; esplorerà probabilmente un settore del problema della disoccupazione) non credo poter trovare a Pisa una documentazione sufficiente. Prevedo di dover lavorare piuttosto a Roma, poiché lì esistono biblioteche internazionali. Contavo di andarvi in ricognizione subito dopo gli esami di Pisa; se però gli esami ritarderanno molto, lo farò prima.
Mi occorre proprio aver qualcosa di interessante da fare; altrimenti rischio di lasciarmi prendere dall’uggia; vi sarebbero sin troppe ragioni perché ciò avvenga.
Grazie di avermi segnalato Rosini; gli telefonerò questa sera e spero che accetterà un invito a pranzo.
A presto. Cordialmente.

Giorgio


PER VISUALIZZARE IN ANTEPRIMA UN ESTRATTO DELLA VIDEO INTERVISTA A GIOVANNI PIERACCINI A CURA DI ANDREA RAGUSA E GIANNI SILEI clicca qui